Il mercato dell’arte: Gianni Colombo

‘Gianni Colombo: The Body and the Space 1959-1980’, Veduta della mostra presso la galleria Robilant+Voena di Londra, 2 ottobre-20 novembre 2015, Courtesy Robilant+Voena

‘Gianni Colombo: The Body and the Space 1959-1980’, Veduta della mostra presso la galleria Robilant+Voena di Londra, 2 ottobre-20 novembre 2015, Courtesy Robilant+Voena

 

MILANO, Italia – Nato a Milano l’1 gennaio 1937, Gianni Colombo appartiene ad una famiglia di imprenditori milanesi. Ha due fratelli di cui uno, Cesare, diviene un importante designer degli anni 60 con lo pseudonimo di Joe Colombo.

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Il mercato dell’arte: Alberto Giacometti

Alberto Giacometti, 'Place,' 1948-1949, bronzo, 21 × 63.5 × 44 cm, Emanuel Hoffmann-Stiftung, Depositum in der Öffentlichen Kunstsammlung Basel, © Succession Alberto Giacometti / 2015, ProLitteris, Zurich, Foto: Martin P. Bühler, Öffentliche Kunstsammlung Basel. In mostra in 'Future Present,' dal 13 giugno 2015 al 31 gennaio 2016

Alberto Giacometti, ‘Place,’ 1948-1949, bronzo, 21 × 63.5 × 44 cm, Emanuel Hoffmann-Stiftung, Depositum in der Öffentlichen Kunstsammlung Basel, © Succession Alberto Giacometti / 2015, ProLitteris, Zurich, Foto: Martin P. Bühler, Öffentliche Kunstsammlung Basel. In mostra in ‘Future Present,’ dal 13 giugno 2015 al 31 gennaio 2016

 

MILANO, Italia – Nato a Borgonovo di Stampa in Svizzera nel 1901, Alberto Giacometti è stato uno dei più importanti scultori del Novecento. Figlio del pittore post-impressionista Giovanni Giacometti, Alberto Giacometti dimostra presto il suo interesse e il talento per l’arte. Il padre e l’artista svizzero Cuno Amiet rappresentano due figure influenti per la sua prima formazione.

Studia pittura alla Scuola di Belle Arti e scultura e disegno alla Scuola di Arti e Mestieri di Ginevra dal 1919 al 1920. Nel 1920-21 si reca in Italia, dove si entusiasma per Giotto e Tintoretto. Nel 1922 si stabilisce a Parigi, dove si interessa per il Cubismo e il Primitivismo. A metà degli anni 20 apre uno studio con il fratello Diego, che lavora come suo assistente. In questi anni sperimenta in moltissime direzioni.

Alla fine degli anni 20 si avvicina ai Surrealisti, del cui gruppo entra a far parte nel 1931, ma viene espulso nel 1935. Tuttavia nel suo lavoro continuano a ricorrere temi visionari, oggetti metaforici e assemblaggi. Le sue sculture richiamano dei giochi e dei modelli architettonici. In quegli anni fa ricorso al motivo della gabbia, che gli permette di delimitare lo spazio della rappresentazione.

Nei primi anni 30 realizza anche oggetti funzionali, come lampade e vasi, venduti dall’arredatore d’avanguardia Jean-Michel Frank. Nel 1939 una coppia argentina gli commissiona tavoli, camini e candelabri, esposti a Parigi prima di partire per Buenos Aires.

 

Alberto Giacometti, ‘Standing Woman,’ 1948 (realizzato nel 1949), bronzo dipinto, 166 x 16.5 x 34.2 cm, The Museum of Modern Art, New York, James Thrall Soby Bequest © 2015 Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris. In mostra in ‘Soldier, Spectre, Shaman: The Figure and the Second World War’ al MOMA New York dal 24 ottobre 2015 al 20 marzo 2016

Alberto Giacometti, ‘Standing Woman,’ 1948 (realizzato nel 1949), bronzo dipinto, 166 x 16.5 x 34.2 cm, The Museum of Modern Art, New York, James Thrall Soby Bequest © 2015 Artists Rights Society (ARS), New York / ADAGP, Paris. In mostra in ‘Soldier, Spectre, Shaman: The Figure and the Second World War’ al MOMA New York dal 24 ottobre 2015 al 20 marzo 2016

 

Alla fine degli anni 30, Giacometti abbandona il Surrealismo e l’astrazione per tornare alla figura umana e alla sua rappresentazione nello spazio. Un tema che rimane centrale per tutta la vita di Giacometti è la rappresentazione della testa e, in particolare, degli occhi. Nel corso degli anni 30 sperimenta in varie direzioni, usando come modello suo fratello Diego, l’amica e musa Isabel Rawsthorne, la modella Rita Gueyfier e altri.

Durante la seconda guerra mondiale, Giacometti si trova in Svizzera, dove concepisce l’idea delle figure esili che rappresentano le sue note sculture del dopoguerra. Queste opere riflettono, rispetto alla visionarietà e alla giocosità del Surrealismo, la condizione di ansia e alienazione del dopoguerra, la sofferenza e il trauma della guerra.

Partendo dall’intenzione di rappresentare l’illusione dello spazio e la distanza con il soggetto rappresentato, Giacometti trova la soluzione nelle proporzioni allungate delle figure. Le sue sculture diventano un punto di riferimento artistico per le correnti filosofiche dell’esistenzialismo e della fenomenologia, e per la rappresentazione dell’uomo solo nell’universo e dell’impossibilità di comunicare.

L’importanza di Giacometti nella storia dell’arte si riflette sul mercato dell’arte. La sua scultura “L’Homme qui marche I”, del 1961, è stata venduta all’asta da Sotheby’s a Londra nel febbraio 2010 per 103,7 milioni di dollari, diventando l’opera d’arte più cara mai venduta all’asta (record superato nel maggio dello stesso anno da “Nu au Plateau de Sculpteur”, dipinto di Picasso venduto per 106 milioni di $). È stata anche la scultura più cara mai venduta all’asta fino al maggio 2015, quando un’altra delle sue sculture, “L’Homme au doigt”, del 1947, è passata di mano per 141,3 milioni di dollari da Christie’s a New York. Si tratta di un’edizione di sei esemplari, di cui gli altri si trovano al MoMA di New York, alla Tate di Londra e in altre collezioni private. L’opera era rimasta nella stessa collezione per 45 anni.

Le opere di Giacometti si trovano nelle maggiori collezioni museali e private al mondo, tra cui quella del MoMA (dov’è attualmente esposta l’opera “Standing Woman”, del 1948, all’interno della mostra “Soldier, Spectre, Shaman: The Figure and the Second World War”, dal 24 ottobre 2015 al 20 marzo 2016), del Pompidou, della Tate, della Kunsthaus Zürich, della Fondation Beyeler e dello Schaulager (dov’è attualmente esposta l’opera “Place”, del 1948-49, all’interno della mostra “Future Present”, dal 13 giugno 2015 al 31 gennaio 2016). Più di 5.000 opere di Giacometti sono conservate nella Fondation Alberto et Annette Giacometti a Parigi.

Nel 2016 si celebrano i 115 anni dalla sua nascita e i 50 anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 1961

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Di SILVIA ANNA BARRILÀ
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Il mercato dell’arte: Alberto Burri

Alberto Burri, Rosso gobbo, 1953, acrilico, tessuto e resina su tela, 56,5 x 85 cm, Private collection, Rome, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015, Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

Alberto Burri, Rosso gobbo, 1953, acrilico, tessuto e resina su tela, 56,5 x 85 cm, Private collection, Rome, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015, Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

 

MILANO, Italia – Nato nel 1915 a Città di Castello, in provincia di Perugia, da un commerciante di vini e una maestra elementare, l’artista italiano Alberto Burri si laureò in medicina all’Università degli Studi di Perugia nel 1940. Nel corso della seconda guerra mondiale si arruolò come medico nell’esercito in Nord Africa, e fu fatto prigioniero dagli inglesi in Tunisia. Consegnato agli americani, fu portato in Texas e rinchiuso per un anno e mezzo nel campo di prigionieri di guerra di Hereford. In questo periodo, sconfortato dalla guerra e dalla prigionia, maturò la convinzione di lasciare la medicina e dedicarsi alla pittura. Arrivato nel campo di prigionia, infatti, gli fu sottratta la borsa degli attrezzi medici, e così la sua identità di medico. Sfruttò, quindi, le possibilità di fare attività offerte ai detenuti e iniziò a dipingere. Tra le sue prime opere c’è una rappresentazione realistica del paesaggio americano visto dalla finestra della prigione (“Texas”, 1945, conservato in una collezione privata a Roma).

Rientrato in Italia nel 1946 si trasferì a Roma intenzionato a dedicarsi a tempo pieno alla pittura. Iniziò a esporre tra il 1947 e il 1948, dapprima mostrando opere figurative e poi astratte. Già alla fine degli anni 40, infatti, iniziò a introdurre vari materiali nelle sue opere con i “Catrami”, realizzati con olio, catrame, sabbia, vinavil e pietra pomice su tela. Il 1950 fu un anno di grande sperimentazione: realizzò le prime “Muffe”, grazie alla reazione della pietra pomice con la pittura ad olio; il primo “Gobbo”, un rigonfiamento fatto con rami dietro alla tela; e il primo “Sacco”, con la juta cucita. Nei primi anni 50 arrivarono, poi, anche i “Bianchi” e “Neri” e la mostra alla Galleria dell’Obelisco, centro dell’avanguardia romana. Nel 1953 ci fu la prima mostra negli Stati Uniti, alla Allan Frumkin Gallery di Chicago, che poi fu trasferita alla Stable Gallery di New York. Negli anni seguenti l’attività espositiva di Burri fu molto fitta, sia in Italia che all’estero e negli Stati Uniti, dove esposte anche al Guggenheim e al MoMA.

 

Alberto Burri, Legno e bianco I, 1956, legno, combustione e acrilico e vinavil su tela, 87,7 x 159 cm, Solomon R. Guggenheim Museum, New York 57.1463, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

Alberto Burri, Legno e bianco I, 1956, legno, combustione e acrilico e vinavil su tela, 87,7 x 159 cm, Solomon R. Guggenheim Museum, New York 57.1463, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

 

A metà degli anni 50, molto apprezzati erano i suoi “Sacchi”, ma allora iniziò anche la produzione delle “Combustioni” su legno, tela e plastica. La prima di queste opere a essere esposta fu “Rosso Combustione Plastica” (1957, collezione privata) alla Rome-New York Art Foundation nel luglio 1957. Attraverso il realismo dei materiali, le opere di Burri rappresentavano un contraltare al soggettivismo dell’Espressionismo astratto americano e del Tachisme europeo, mentre furono influenti per la generazione del Nouveau Réalisme francese e del Gruppo Zero tedesco. Il significato delle opere di Burri non era quello di distruggere la pittura o provocare, quanto riflettere il trauma della storia recente, la sua esperienza e le condizioni dell’Europa del dopoguerra attraverso materiali che rappresentavano la vulnerabilità, il danno e la ricostruzione.

 

Alberto Burri, Grande bianco plastica, 1964, Plastica (PVC) e combustione su cornice di alluminio, 191,8 x 292,1 cm, Glenstone, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Tim Nighswander/IMAGING4ART, courtesy Glenstone

Alberto Burri, Grande bianco plastica, 1964, Plastica (PVC) e combustione su cornice di alluminio, 191,8 x 292,1 cm, Glenstone, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Tim Nighswander/IMAGING4ART, courtesy Glenstone

 

Alla fine degli anni 50 iniziò a realizzare i “Ferri”, serie che mostrò alla Galleria Blu di Milano nel 1958, mentre nel 1962 mostrò le “Plastiche” alla Marlborough di Roma e nelle sedi internazionali della galleria. Le “Plastiche” e i “Ferri” rappresentano un’importante svolta nell’opera di Burri, e furono realizzate riprendendo le plastiche della metà degli anni 50 e concentrandosi di più sulla superficie plastica.

 

Alberto Burri, Rosso plastica, 1961, Plastic (PVC), acrilico e combustione su plastica (PE) e tessuto nero, 142 x 153 cm, Modern Art Foundation, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artist Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Massimo Napoli, Rome, courtesy Modern Art Foundation

Alberto Burri, Rosso plastica, 1961, Plastic (PVC), acrilico e combustione su plastica (PE) e tessuto nero, 142 x 153 cm, Modern Art Foundation, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artist Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Massimo Napoli, Rome, courtesy Modern Art Foundation

 

La stagione delle “Plastiche” dominò tutto il decennio degli anni 60. Tra le mostre importanti in cui vengono presentate ci furono Documenta a Kassel nel 1964, la Biennale di San Paolo nel 1965, la Biennale di Venezia nel 1966. A partire da questi anni Burri lavorò anche nel teatro realizzando le scene e i costumi per diversi spettacoli. Alla fine degli anni 60 acquistò una casa a Los Angeles, dove trascorse i mesi invernali fino al 1990.

 

Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrilico e PVA su Cellotex, 149,5 x 249,5 cm, Centre Pompidou, Paris, Musée national d’art moderne/Centre de création industrielle, dono dell'artista, 1978, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: © CNAC/MNAM/Dist. RMN-Grand Palais/Art Resource, New York

Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrilico e PVA su Cellotex, 149,5 x 249,5 cm, Centre Pompidou, Paris, Musée national d’art moderne/Centre de création industrielle, dono dell’artista, 1978, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: © CNAC/MNAM/Dist. RMN-Grand Palais/Art Resource, New York

 

Negli anni 70, invece, Burri cominciò a lavorare anche ai “Cretti”, realizzati miscelando collanti con altri materiali utilizzati per ricoprire il supporto come creta, caolino e bianco di zinco. L’artista otteneva così una miscela granulosa che si gonfiava a contatto con l’aria e crepava sotto l’azione del calore, e che l’artista bloccava con la colla vinavil quando raggiungeva l’equilibrio compositivo voluto. La prima mostra dei “Cretti” fu nel 1973 alla Galleria San Luca di Bologna. Nel 1975, in una mostra al convento di S. Francesco d’Assisi, invece, mostrò un “Cellotex”, materiale utilizzato in edilizia come isolante e derivato da una miscela di colle e segatura di legno che Burri utilizzava come supporto per le sue opere, e che poi decise di usare per le sue sperimentazioni.

Nella seconda metà degli anni 70 Burri realizzò anche i suoi cretti monumentali, di cui il più famoso è quello di Gibellina, in Sicilia, realizzato sulle macerie della città distrutta dal terremoto nel 1968. L’opera fu commissionata nel 1981 e realizzata tra il 1985 e il 1989. Lasciata incompleta per mancanza di fondi, è stata completata nel 2015, anno del centenario dalla nascita dell’artista.

Nel 1978 Burri costituì una fondazione dedicata alla sua opera a Palazzo Albizzini a Città di Castello, che contiene la collezione che l’artista dedicò alla città natale. Negli anni 80 si dedicò ai grandi cicli pittorici e alle sculture di grandi dimensioni che si trovano nella Fondazione. Alla fine degli anni 80 fu realizzato sotto la sua regia anche il catalogo ragionato della sua opera.

All’inizio degli anni 90 Burri si stabilì nel sud della Francia dove, nonostante l’età avanzata, continuò a sperimentare sui materiali. L’ultimo suo lavoro fu “Metamorfex”. Morì a Nizza nel 1995.

 

Alberto Burri nel suo studio a Case Nove di Morra, Città di Castello, Italia, 1982, Fotografia: Aurelio Amendola © Aurelio Amendola, Pistoia, Italy

Alberto Burri nel suo studio a Case Nove di Morra, Città di Castello, Italia, 1982, Fotografia: Aurelio Amendola © Aurelio Amendola, Pistoia, Italy

 

Nel 2015, in occasione del centenario dalla sua nascita, Burri viene celebrato da importanti mostre tra cui la più completa retrospettiva mai realizzata al Guggenheim di New York. Sul mercato dell’arte oggi Burri è uno degli artisti italiani più ricercati. I suoi prezzi sono cresciuti negli ultimi anni insieme al volume delle opere vendute all’asta. Le serie più richieste sono i “Sacchi”, le “Combustioni” e i “Cretti”. Il record è di 7,7 milioni di dollari, segnato a Londra a febbraio 2014 per l’opera “Combustione Plastica” del 1960-61. Fino a cinque anni fa il record era pari alla metà, 3,8 milioni di dollari.

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Di SILVIA ANNA BARRILÀ

 

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Il mercato dell’arte: Salvo

Salvo, ‘La città’, 2015, olio su tela, 100 x 150 cm. Foto: Jan Windszus, Courtesy Mehdi Chouakri, Berlino

Salvo, ‘La città’, 2015, olio su tela, 100 x 150 cm. Foto: Jan Windszus, Courtesy Mehdi Chouakri, Berlino

 

TORINO, Italia – Noto a tutti con il semplice nome di Salvo, l’artista italiano Salvatore Mangione nasce in Sicilia nel 1947, ma già nel 1956 si trasferisce con la famiglia a Torino dove rimane – fatta eccezione per i diversi viaggi – fino alla sua scomparsa, avvenuta nel settembre 2015. Nel capoluogo piemontese dimostra presto un interesse nei confronti dell’arte, e alla fine degli anni 60 frequenta l’ambiente artistico torinese nel periodo più stimolante per l’arte in città.

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Il mercato dell’arte: Marcello Morandini

Marcello Morandini, Scultura 358 B / 1990, plexiglas, cm Ø 30x18,2, edizione 9 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Scultura 358 B / 1990, plexiglas, cm Ø 30×18,2, edizione 9 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

MILANO – Nato a Mantova nel 1940, Marcello Morandini frequenta l’Accademia di Brera e respira l’aria della scena artistica milanese degli anni 60. Risente dell’influenza dell’arte ottica-cinetica di Gianni Colombo, Alberto Biasi, Grazia Varisco e dei suoi rappresentanti internazionali come Jesús-Rafael Soto e François Morellet e dell’arte concreta di Bruno Munari.

Inizia a produrre arte nella prima metà degli anni 60 e sin da subito colleziona riconoscimenti: espone, per esempio, nella Galleria del Naviglio che a metà degli anni 60 era il punto di riferimento per Azimut e per l’arte programmata, e già nel 1968 ottiene una sala alla Biennale di Venezia.

“Il suo lavoro è rimasto rigorosissimo negli anni” spiega il gallerista Stefano Cortesi della Cortesi Gallery di Lugano e Londra. “Per tutta la sua carriera ha prodotto solo ed esclusivamente opere bicromatiche, in bianco e nero, ed è tuttora così. Nella sua produzione di design appare talvolta il colore, ma non nell’arte. Rispetto all’arte optical, nelle sue opere la percezione ottico-visiva non è disturbata eccessivamente. Piuttosto, al centro della sua produzione c’è la costruzione di un sistema di linee in bianco e nero”.

Marcello Morandini, Pannello 551 A / 2009, disegno su legno laccato, cm 100x100x3, edizione 3 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Pannello 551 A / 2009, disegno su legno laccato, cm 100x100x3, edizione 3 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Rispetto al successo degli anni 60, negli anni 80-90 l’arte cinetica e concreta è stata accantonata a favore di un ritorno alla pittura, per cui l’arte di Morandini, così come quella di molti altri artisti, è stata un po’ trascurata. Non in Germania e nella Svizzera tedesca, però, dove Morandini ha continuato a esporre con grande successo.

In questi anni, invece, con il recupero dell’arte degli anni 60 e l’interesse del mercato e del collezionismo nei confronti di questo periodo, l’attenzione si rivolge nuovamente anche all’opera di Morandini. Nel 2014, infatti, ha avuto prima una personale alla galleria milanese Lorenzelli Arte, e poi alla Galleria d’Arte Moderna di Roma, che gli ha dedicato una mostra monografica che ha ripercorso tutta la sua carriera, non solo artistica ma anche legata alla sua produzione all’interno del design e dell’architettura.

Marcello Morandini, Struttura 491 A / 2005, legno laccato, cm Ø 140x10, esemplare unico, Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Struttura 491 A / 2005, legno laccato, cm Ø 140×10, esemplare unico, Courtesy Cortesi Gallery

Dal 2014 ha iniziato anche a collaborare con la Cortesi Gallery, prima a Lugano, dove è stato coinvolto nella mostra collettiva “Great Expectations”, dedicata all’arte programmata e ottico-cinetica degli anni 60, e poi a Londra, dove la galleria gli ha dedicato una personale nell’agosto-settembre 2015.

“Abbiamo deciso di rappresentare Morandini e di presentarlo sul mercato internazionale perché, mentre in Italia e in Svizzera è già conosciuto e apprezzato, a livello internazionale c’è ancora margine di crescita” spiega Stefano Cortesi. “Il mercato non ha ancora riscoperto completamente questo artista che, invece, è più che meritevole”.

Marcello Morandini, Pannello 145 b / 1971, disegno su legno laccato, cm 100x100x3, edizione 3 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Pannello 145 b / 1971, disegno su legno laccato, cm 100x100x3, edizione 3 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Anche all’asta non ci sono stati ancora tanti passaggi o riconoscimenti. Spesso passano opere minori, o su carta, o edizioni, perché i collezionisti che hanno opere importanti di Morandini da tanti anni aspettano che il mercato cresca prima di venderle.

“Credo molto in questo artista perché presenta un alto livello di qualità, è un tipo di arte ora richiesta dal mercato e che rispecchia l’attuale gusto nell’arte e nel design” dichiara Cortesi. “Inoltre ha influenzato anche l’arte di oggi e quei giovani artisti che si ispirano agli anni 60, alcuni guardando ai monocromi, come per esempio Jacob Kassay, altri alle sperimentazioni sulla percezione visiva, come Tauba Auerbach”.

Marcello Morandini, Struttura 516 A / 2007, plexiglas, cm 40x40x8, edizione 9 esemplari Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Struttura 516 A / 2007, plexiglas, cm 40x40x8, edizione 9 esemplari Courtesy Cortesi Gallery

I prezzi per le sue opere oggi vanno dai 10 mila ai 25 mila euro. “È poco per un artista già storicizzato e c’è margine di crescita” dice Cortesi. Per le sculture di grandi dimensioni (2 metri) si arriva a 60-100 mila euro, ma si tratta di pezzi rari e unici nella produzione, progetti quasi architettonici, realizzati in pietra o legno.

Il grosso della sua opera, invece, è composto da piccole sculture e lavori su pannelli bidimensionali, in cui il lavoro di arte programmatica e ottica è dipinta, e strutture tridimensionali, in cui si aumenta il fattore di concretezza dell’opera. Quelle tridimensionali sono più elaborate quindi hanno un valore più alto.

Marcello Morandini, Scultura 572 / 2011, plexiglas, cm 30x30x16,5, edizione 9 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Marcello Morandini, Scultura 572 / 2011, plexiglas, cm 30x30x16,5, edizione 9 esemplari, Courtesy Cortesi Gallery

Le opere della fine degli anni 60 e degli anni 70 sono difficili da trovare in quanto sono conservate nei musei o in collezioni private. Oggi sul mercato si trovano soprattutto quelle dagli anni 90 a oggi.

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Il mercato dell’arte: Turi Simeti

Turi Simeti, 'Dittico, 2015,' 100x240 cm. Courtesy Dep Art Gallery

Turi Simeti, ‘Dittico, 2015,’ 100×240 cm. Courtesy Dep Art Gallery

MILANO, Italia – A Nato nel 1929 ad Alcamo in provincia di Trapani, Turi Simeti è uno dei protagonisti dell’arte italiana degli anni 60. Dalla Sicilia si è trasferito a Roma nel 1958 dove si è avvicinato al mondo dell’arte e ha conosciuto Alberto Burri. Ha avviato la sua produzione artistica già nei primi anni 60, inizialmente improntata alla ricerca dell’azzeramento dell’arte e vicina alle esperienze del Gruppo Zero.

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Il mercato dell’arte: Giuseppe Chiari

Giuseppe Chiari, ‘Collage 8 carte,’ 1981, collage su tela, cm 70 x 100, Courtesy Tornabuoni Art

Giuseppe Chiari, ‘Collage 8 carte,’ 1981, collage su tela, cm 70 x 100, Courtesy Tornabuoni Art

PARIGI – Nato a Firenze nel 1926, Giuseppe Chiari ha studiato ingegneria prima di incominciare la sua carriera come pianista, dando concerti caratterizzati da un approccio sperimentale e influenzati dal Jazz e dalle composizioni avanguardiste di John Cage. Read more

Il mercato dell’arte: Fausto Pirandello

Paesaggio di Fausto Pirandello, Courtesy Galleria Russo

Paesaggio di Fausto Pirandello, Courtesy Galleria Russo

ROMA – Figlio del famoso drammaturgo Luigi Pirandello e di Antonietta Portolano, l’artista Fausto Pirandello nasce a Roma nel 1899. Inizia la sua formazione artistica presso Felice Carena dopo la seconda guerra mondiale. Le prime opere firmate risalgono ai primi anni 20 e il debutto espositivo è del 1925 alla terza Biennale Romana dove mostra un quadro di bagnanti, un tema che lo accompagna per tutta la vita. Sebbene sia vissuto a Roma, la sua famiglia era siciliana e i lunghi soggiorni in Sicilia hanno influenzato la sua paletta cromatica, con i colori caldi della terra bruciata dal sole, la luce accecante e l’azzurro del mare.

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Il mercato dell’arte: Emilio Vedova

Emilio Vedova, ‘...in continuum’, 1987-88, allestita nello studio dell’artista a Venezia ai Magazzini del Sale in occasione della mostra del 2011 organizzata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

Emilio Vedova, ‘…in continuum’, 1987-88, allestita nello studio dell’artista a Venezia ai Magazzini del Sale in occasione della mostra del 2011 organizzata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

VENEZIA – Nato a Venezia nel 1919, Emilio Vedova ha iniziato la sua carriera d’artista come autodidatta negli anni 30. Nel 1942 ha aderito al movimento antifascista “Corrente” e durante la guerra ha partecipato alla Resistenza. Nel 1946 ha firmato il manifesto “Oltre Guernica”, secondo cui la pittura doveva andare oltre alla figurazione. È stato, infatti, uno dei grandi protagonisti dell’Arte Informale e ha sostenuto la forza rivoluzionaria della pittura, del gesto e dell’astrazione. Nel 1948 ha partecipato per la prima volta alla Biennale di Venezia e poi ci è tornato regolarmente ricevendo riconoscimenti importanti, come il Gran Premio per la pittura alla Biennale di Venezia del 1960 e il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 1997.

Il suo valore è stato riconosciuto già in vita. Tra i suoi sostenitori c’è stata Peggy Guggenheim, incontrata nel 1947 a Venezia e poi diventata sua collezionista. Le sue opere sono conservate oggi alla Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia, oltre che in vari musei di tutto il mondo tra cui il MoMA di New York. La sua avventura americana è iniziata nel 1951 con la personale alla Viviano Gallery di New York. A questa prima mostra ne sono seguite altre da cui sono nate intense relazioni con la scena artistica americana. Oltre che come pittore il suo nome si è affermato come uomo di pensiero e docente grazie a diversi cicli di lezioni alle università americane.

“In queste occasioni Vedova ha affermato la sua teoria di una pittura che rompe le regole, di una gestualità che porta la pittura al limite” spiega il gallerista Massimo Di Carlo della Galleria dello Scudo di Verona. “Ma in realtà quelle che sembrano sciabolate casuali erano profondamente controllate. Già prima di iniziare aveva tutto il quadro dentro la sua testa”.

La sua è stata una carriera molto internazionale. Ha esposto non solo negli Stati Uniti, ma anche in Brasile, dove ha partecipato già alla seconda Biennale di San Paolo nel 1954 e ha vinto un premio che gli ha permesso di trascorrere tre mesi in Brasile, e in Germania, dove ha realizzato tra il 1963 e il 1964 la serie dell'”Absurdes Berliner Tagebuch” ed è stato presente a Documenta a Kassel nel 1955, nel 1959, nel 1964 e nel 1982.

Emilio Vedova, ‘Ciclo ’62 - (B.3)’, 1962, tecnica mista su tela, 145,5 x 185 cm, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

Emilio Vedova, ‘Ciclo ’62 – (B.3)’, 1962, tecnica mista su tela, 145,5 x 185 cm, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

“La sua fortuna è antica e guadagnata sul campo” commenta il gallerista Massimo Di Carlo, “ma dalla seconda metà degli anni 90 fino a oggi, c’è stata un’onda speculativa che ha esaltato l’arte contemporanea e ha messo in secondo piano alcuni grandi maestri soprattutto europei. Ora le cose stanno cambiando”. Un esempio di questa rivalutazione è la presenza di Emilio Vedova ad Art Basel 2015 nella sezione Art Unlimited con l’installazione pittorica “…in continuum”, presentata dalla Galleria dello Scudo. Si tratta di una serie di 102 dipinti realizzati tra il 1987 e il 1988 in cui la pittura si rinnova continuamente, riempie gli spazi e coinvolge lo spettatore.

Emilio Vedova, ‘...in continuum’, 1987-88, allestita nello studio dell’artista a Venezia ai Magazzini del Sale in occasione della mostra del 2011 organizzata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

Emilio Vedova, ‘…in continuum’, 1987-88, allestita nello studio dell’artista a Venezia ai Magazzini del Sale in occasione della mostra del 2011 organizzata dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

“Tra le opere più ricercate sul mercato ci sono i dipinti degli anni 60, prodotti tra Europa e Stati Uniti, e quelli degli anni 80” spiega Di Carlo. “Negli anni 70 si è dedicato prevalentemente all’incisione. In questi anni sono nati importanti cicli di ispirazione politica, come il “Ciclo Spagna”, “Agli studenti americani”, “Cuba sì”. È stato un abilissimo incisore e ha sperimentato diverse tecniche”.

Gli anni 80, invece, sono gli anni dei grandi tondi, dipinti su entrambi i lati e con un diametro di quasi tre metri. “È una pittura molto aggressiva, apprezzata molto nel Nord Europa e in particolar modo in Germania” spiega Di Carlo. Le opere di Vedova sono conservate nella collezione della Neue Nationalgalerie di Berlino, mentre la Berlinische Galerie di Berlino gli ha dedicato un’importante retrospettiva dopo la sua morte, avvenuta nel 2006.

Nello stesso anno della scomparsa dell’artista è nata a Venezia la fondazione a lui dedicata, voluta dall’artista stesso. Ogni anno mostra il lavoro di Vedova affiancandolo a quello di altri grandi artisti, come Anselm Kiefer, Roy Lichtenstein, Alexander Calder. Anche la galleria austriaca Thaddaeus Ropac – che da maggio 2015 rappresenta il lascito di Vedova – ha posto l’opera dell’artista veneziano in dialogo con un altro grande maestro della pittura contemporanea, Georg Baselitz, che è stato suo amico ed estimatore.

“Anche negli Stati Uniti l’opera di Emilio Vedova comincia di nuovo ad essere apprezzata” commenta Di Carlo. “Dopo la fortuna degli anni 60-70, è stato messo da parte per una questione di politiche culturali. Venivano mostrati gli espressionisti astratti americani, mentre Vedova è fortemente legato alla cultura italiana e in particolare veneziana, alla gestualità estrema di Tintoretto e Tiziano e al vorticismo del Futurismo e di Boccioni. Oggi si guarda ai contenuti per cui viene dato la giusta attenzione ad un grande maestro europeo come Vedova”.

Emilio Vedova, ‘Da Dove ’83 – 12’, 1983, idropittura, pastello, cemento, sabbia su tela, 200 x 300 cm, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

Emilio Vedova, ‘Da Dove ’83 – 12’, 1983, idropittura, pastello, cemento, sabbia su tela, 200 x 300 cm, Courtesy Galleria dello Scudo Verona

I prezzi per le opere di Vedova presso la Galleria dello Scudo sono sui 600.000-700.000 euro per una grande tela degli anni 60 (1,2 x 2 m) e sui 400.000 euro per le tele di 2,35 x 2,35 metri degli anni 80. I grandi tondi, molto rari, dipinti su fronte e retro degli anni 80 quotano sui 700.000-800.000 euro.

Le opere su carta degli anni 60 (100 x 70 cm) costano sugli 80.000-100.000 euro, mentre quelle degli anni 80 sono sui 60.000-70.000 euro. Le opere del ciclo in bianco e nero “De America” del 1976-77, rarissimo, di 2 x 2 metri, costa 300.000-350.000 euro. Le incisioni (50 x 70 cm e 70 x 10 cm) partono da 2.000 euro.

By SILVIA ANNA BARRILA

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Lotto 665, importante armatura giapponese, stima 90.000-120.000 euro. Courtesy Czerny International Auction House.

Il mercato dell’arte in Italia: La casa d’aste Czerny’s

Lotto 665, importante armatura giapponese, stima 90.000-120.000 euro. Courtesy Czerny International Auction House.
Lotto 665, importante armatura giapponese, stima 90.000-120.000 euro. Courtesy Czerny International Auction House.
 
La casa d’aste italiana Czerny’s, con sede a Sarzana in Liguria, è l’unica casa d’aste al mondo dedicata esclusivamente al segmento delle armi antiche. Il 6 giugno terrà un’importante vendita a cui acquirenti da tutto il mondo potranno partecipare attraverso il sito LiveAuctioneers.com. Auction Central News ha intervistato il suo fondatore, il tedesco Michael G. Czerny.

Lotto 550, balestra del 1550 circa di provenienza tedesca, stima 14,000-16.000 euro. Courtesy Czerny International Auction House. Read more